Intervista a Rosario Rasizza, AD di Openjobmetis main sponsor di I Tennis Campus

Rosario Rasizza

Quando ha iniziato la sua avventura professionale Pete Sampras sedeva sul tetto del mondo, qualcosa come 24 anni dopo in vetta c’è Nole Djokovic. Se c’è un settore che è cambiato più del tennis in questo lasso di tempo è proprio il mondo del lavoro e Rosario Rasizza, founder e AD di Openjobmetis, primaria agenzia per il lavoro italiana (unica quotata in Borsa), ne sa qualcosa. “Ho scelto di sostenere questo progetto perché il tennis è la mia passione, fa parte del mio mondo da sempre – esordisce Rasizza -. E poi perché c’è la possibilità concreta di aiutare i giovani talenti”.
Come nasce la sua passione per la racchetta?
“Avevo 13 anni e in quanto figlio di dipendenti della Ignis potevo frequentare il Cral dell’azienda. Passavo giorni e giorni a vedere il maestro che insegnava ai bambini della scuola tennis. è lì che mi sono appassionato, anche se all’inizio non potevo partecipare. All’epoca lo sport non era per tutti. Poi un Natale mi arrivò in regalo una racchetta, la famosa VIP marchiata Adriano Panatta. Iniziai a giocare contro il muro e dopo un anno il maestro del circolo si impietosì e mi disse di entrare in campo”.
Idoli della sua adolescenza?
“Tutti i campioni dell’epoca. Dagli italiani Panatta e Barazzutti alle stelle come Borg, McEnroe, Lendl. Erano tutte grandi sfide, interminabili, grandissime rivalità. Quando riesco lo seguo anche dal vivo. Negli ultimi anni ho visto sovente la finale di Montecarlo e sono stato testimone della vittoria di Fognini”.
Al tennis deve anche un’intuizione che poi segnerà il suo successo imprenditoriale…
“Mentre aspettavo di fare il servizio militare, avevo iniziato a lavorare al Tennis Club Casciago. Il mio primo incarico non fu quello di giocare a tennis ma di bagnare i campi e pulire gli spogliatoi. Un lavoro nobile che mi consentiva di incontrare i veri imprenditori. Li facevo palleggiare e nello spogliatoio mi raccontavano le loro disgrazie aziendali, che erano banalmente ‘Mi manca Tizio, mi manca Caio, non è venuto Giovanni’. Forse da lì è nata la mia passione per questo settore. E fu proprio in quel circolo che ho avuto i miei primi lavoratori interinali (ora chiamati somministrati): altri non erano che i miei ex compagni di scuola che avevo assoldato”.
Quali affinità vede tra il tennis e il suo lavoro?
“Una delle caratteristiche che ha il tennis e che ritrovi nel mondo del lavoro, soprattutto nella mia posizione, è la solitudine. Cioè, sei da solo, c’è un momento in cui devi decidere da solo così come in campo. Poi la resilienza, la capacità di soffrire, e la capacità di capire che non è mai finita. Quindi anche dopo un evento catastrofico come la pandemia puoi risalire, c’è ancora un quindici a disposizione e puoi farcela”.
Altro punto di contatto con una realtà come la vostra è la capacità di scoprire e valorizzare i talenti.
“Anche quello di individuare i talenti è un lavoro che va allenato. Ci sono caratteristiche comuni per tutti, come la serietà, l’impegno, il sacrificio e nel nostro mondo soprattutto la disponibilità. Cose che possono sembrare banali, ma ti fanno capire se uno ha davvero l’interesse a impegnarsi. Forse le due parole che accomunano tennis e lavoro sono sacrificio e sogno: sogno di arrivare lì e sacrificio per arrivarci. Che poi è ciò che faccio tutte le mattine. Stare qui alla scrivania e condurre più di 650 dipendenti non è facile, eppure va fatto e bisogna farlo anche quando avresti voglia di fare altro”.
Altro aspetto importante è allenare bene i propri talenti.
“La capacità di allenare dei nuovi giocatori è fondamentale per un’azienda. Io ho avuto la possibilità di allenare in parte mio figlio, a cui ho trasmesso questa passione per il tennis. Gioca bene, va anche a rete, ma pensa di potermi battere e glielo faccio credere . Poi ci sarà un giorno in cui gli do 6-0 6-0 e sarà finita lì”.

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